Viaggi (Dis)graziati - Proemio 2




2.


Questo è un elogio ai destini negati, alla paura, alle azioni mai pervenute, alla fuga. Questo è un invito a tutti quelli che come me, si sono rifiutati di seguire l’istinto, di diventare folli e sono caduti nella trappola delle stagioni programmate e delle scadenze da rispettare, ma un invito al contrario, questo è un invito ad accogliere i limiti, ad accettare i rallentamenti, i momenti morti, a non pensare di valere meno del vicino di casa partito per chissà dove per ritrovare dio solo sa che cosa, un invito a restare, quando non si ha la forza di andare. Tre anni fa inseguivo un sogno, quello di andare a vivere a Venezia con lui, di cui ero follemente innamorata, ci eravamo visti una volta soltanto, per quattordici giorni consecutivi, in cui ci veniva spontaneo tenerci per mano e inciampare di continuo; è possibile, mi chiedo, sentire di voler condividere tutto, di volersi spedire sacchi pieni di cibi locali come a Sarajevo ai tempi della guerra, di volersi regalare il cuore e i pensieri, tutti quanti, anche quelli più intimi e sepolti, di volersi scambiare lacrime e silenzi, di volersi regalare l’atmosfera di un paese, la pioggia inglese, i treni soffocati e le scorte di cioccolata nei porti scozzesi, i sassolini e le foglie secche e le lettere che impiegano secoli per arrivare e poi ritrovarsi a fare il bagno nel proprio sudore sui marciapiedi affogati di quella città evanescente, Venezia, che da sempre ho rincorso e amato da lontano? Incaricarsi di chiamare improbabili affittuari, entrare in quelle case, immaginarci fra quei mobili già logori e quelle finestre dagli infissi friabili, e fissare date e scadenze, anticipi e cauzioni a nome mio e di lui, che “mi perdoni, oggi non è potuto essere presente perché aveva tre aerei da prendere e due stipendi da spendere e non è riuscito ad arrivare in tempo per questa dimora immaginaria”. E’ possibile desiderare di fare questo e molto altro per un aspirante comico e fumettista australiano che quando non gratta via i residui di chewing gum dalle pareti dei cessi del centro commerciale, si fa regalare una coperta ricamata a mano da un’anziana cliente e parla di politica, acido e rivoluzione e quando non mi scrive che gli manco è perché lo pensa e lo scrive in mezzo ai boschi, vicino ai corsi d’acqua che gli ricordano il titolo del libro che non ho mai scritto, lui che sapevo di amare ancora prima di incontrarlo.. ecco, io vorrei tanto aver seguito quel fuoco interiore che mi urlava di amare come se l’amore lo avesse inventato lui; questo è ciò che mi sono ripetuta per due lunghi anni, anni in cui chiunque, se poteva, se ne andava in qualche altro posto, così aveva inizio il rapido spopolamento della mia città natale e così anche io, convinta di dover dare ad ogni costo il mio contribuito di grande assenteista, ho iniziato a farlo sempre più spesso, con i regali delle nonne e il contenuto di tre salvadanai ho iniziato ad esplorare il mondo e con esso l’amore, il dolore, la mancanza e la menzogna e non mi accorgevo che mentre facevo tutto questo, intorno a me si creava il vuoto, la mia realtà non coincideva più con quella dei miei amici, né tanto meno con quella dei miei familiari, andavo e tornavo infinite volte, e nel frattempo coltivavo questa assurda storia d’amore sospesa, in questo modo, pensavo, non sarei mai stata obbligata a scegliere, a tagliare i fili, a tuffarmi nell’oceano. Non ero mai stata meglio, o per lo meno, questo è quello che mi raccontavo, fino a che è scaduto il tempo e non ho più potuto raccontarmi nulla; ciò che è successo dopo non ha importanza, vedete, il mondo è pieno di gente che racconta storie, alcune vere, altre un po’ meno, quasi sempre la seconda; la mia non ha una vera e propria collocazione, è un po’ vita, un po’ favola, un po’ qualsiasi cosa (viva i grigi!) piena di tutti i viaggi disgraziati che hanno dato il titolo a questa improbabile sezione. Concludo dicendovi che mi è appena piombato addosso un libro-regalo che lessi per la prima volta una decina di anni fa, quando ancora pensavo di potermi definire “normale” e che conto, comunque, di rileggere entro la fine di questo anno; il libro in questione si chiama “Women who run with the wolves” della scrittrice e psicoanalista statunitense Clarissa Pinkola Estés, libro che ognuno di noi (maschietti inclusi) dovrebbe leggere almeno due volte nella vita (e non per andare a fare yoga nei prati), lo apro e l’occhio mi cade esattamente qui, esattamente su queste tre righe:
Prima dello zen, le montagne erano montagne e gli alberi erano alberi.
Durante lo zen, le montagne erano i troni degli spiriti e gli alberi erano le voci della saggezza.
Dopo lo zen, le montagne furono montagne e gli alberi furono alberi.
.. buoni viaggi (dis)graziati a tutti!

Chiara


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