Viaggi (Dis)graziati - proemio 1
1.
Poi arriva un momento in cui non si può più far finta di niente, in cui i rottami di tutte le esperienze passate vengono recuperati e accatastati in un angolino del cervello in diretta comunicazione con il cuore; e tu che credevi di averle digerite, ingenuamente credevi che fosse bastato appiccicargli sopra una stupida etichetta da scuola elementare con date e nomi da ricordare o da dimenticare, o peggio ancora, da lasciare lì in sospeso, come si fa con le cose care che hanno perduto la loro destinazione originaria ma conservano al loro interno tutta un’orchestrina di lame affilatissime; fanno un suono dolcissimo, stregato al quale è impossibile sottrarsi, perché puoi star certo che arriverà il giorno in cui tutte quelle sirene torneranno a cantare.. di questo e molto altro hai fatto l’inventario, ma non ci si salva con un inventario.. quel giorno è arrivato, le lame sono diventate sirene e il loro canto ti ha paralizzato i timpani, ti ha preso per il collo, ti ha legato le gambe e ti ha sciolto le mani, le mani che sono maestre, strumenti di vita sicura, possiamo fare qualsiasi cosa con le mani, possiamo scegliere di ignorare il loro potere, smettere di considerarle un tramite e spegnere l’interruttore per sempre oppure possiamo scegliere di slegarle, di dargli piena fiducia, di rimetterci al loro volere, di lasciare che siano loro a guidarci sulla pagina vuota, a ripulire le menti, a santificare i cuori...
Volevo scrivere di me, di lui, delle cose che non erano mai come ce le aspettavamo e di quei giorni appannati che non avevano un inizio né una fine, che erano semplicemente lì, sospesi nella memoria come carcasse di un tempo molto lontano, spietato, che osservava immobile quei nostri epici teatrini, quei drammi ridicoli che sancivano incontri e separazioni; volevo scrivere di me, di lui e di quelle fughe disperate da noi stessi, delle pause, degli arrivederci bloccati in gola, volevo scrivere delle attese e di tutto quell’amore sfuggitoci dalle mani, ne avevamo troppo e di fronte a quell’abbondanza ci siamo dimenticati di noi stessi, degli altri e dell’intero universo, abbiamo preso la rincorsa e ci siamo sparsi nel mondo, a volte perfino fuori da esso, nello spazio senza nome che abitano i pazzi sognatori, i depressi cronici, gli idealisti senza partito, in quei viaggi disgraziati in cui ci sentivamo quasi sempre dei miracolati, in cui la vita era questo continuo dispiegarsi di eventi assurdi e scollegati, di arrampicate sulle scogliere con il vento che ti tagliava la faccia o di pacchi postali che ci impiegano due mesi per fare un giro intorno al mondo, cose così... in cui lo schema, l’equilibrio, la santa quotidianità non erano mai esistite e dovevi riprogrammare continuamente il cervello per non impazzire, dovevi accettare che la vita è anche questo, una serie infinita di azioni e incidenti e riparazioni che in fin dei conti non sono altro che un lungo, sofferto proemio del ritrovare sé stessi.
Quando lui se n’è andato pensavi fosse finito tutto, e invece era solo l’inizio, di un altro viaggio (dis)graziato...
Chiara
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