Intermezzo




E alla fine non era mai abbastanza, i tuoi riccioli d’oro non erano abbastanza, le scarpe con le macchie di dentifricio, le spalle larghe che “stanno arrivando”, le piccole rughe ai lati degli occhi quando sorridevi, gli allucinogeni, il disgusto per te stesso, il culto di te stesso, un sacco di cose sbagliate, un sacco di idee castrate, avercene di idee così, pensavo fra me e me, ma non capivo mai chi le pensasse queste cose, ero io? Eravate voi? Lui? Il dio dell’universo? La fata turchina? O magari la zingara degli scalini di Pesaro a cui avevo regalato una moneta lo scorso mese, era questa la vera fortuna? Non avere mai chiaro nulla, questo continuo prendere, arraffare, per compiacersi di aver vissuto qualcosa che assomigliava ad una ridicola corsa sui trampoli, i miei dovevano essere quelli dell’ultimo scaffale, quelli con il bollino del prezzo più basso, si erano rotti quasi subito ma io facevo in modo di farli andare comunque, il come e il perché erano quasi irrilevanti, se c’è una cosa che ho imparato in questa rocambolesca avventura è che certe domande hanno l’obbligo di rimanere sospese, altrimenti finisce che ci crediamo cristo risorto o che vogliamo andare in siberia col maestro sciamano perché i libri ce li avevano fatti sembrare interessanti e comunque, non era mai abbastanza, i suoi riccioli scuri, le mani lisce, perfette, le battute tristi e le espressioni obsolete, i cibi e i malanni condivisi, le lacrime baciate via, era un continuo cercare, accogliere, allontanare, dimenticare, ritrattare, era un continuo volare, perdersi, tornare, avevamo vinto noi? Con quelle promesse di mignoli intrecciati e cervelli rovinati, occhi fissi sugli schermi, mangiati via, prima o poi sarebbe finito tutto, niente dura per sempre, lo ripetevano tutti all’infinito, eppure erano passati anni, maree e libri non scritti, era passato tutto quello che doveva passare secondo la regola del grande uomo invisibile, ma mi era bastato vedere una tua foto l’altro giorno, una foto che documentava la tua solita vita, i siparietti comici e il disgusto verso l’umanità, mi era bastata una tua foto per capire che non era mai abbastanza, devastazioni per cancellare quel sorriso imbarazzato, quel sorriso che sembrava sempre sussurrarmi: hey, sono qui, sono ancora qui, nessuno sa mai cosa fare della propria vita. Vedevo quei capelli in disordine e rimanevo pietrificata di fronte allo schermo con il cuore che batteva a mille all’ora, vedevi ancora i cieli precipitarti addosso con le stelle di lava incandescente? E il tuo gatto? Che fine aveva fatto il tuo gatto? Era ancora il tuo compagno di chiacchierate senza senso e abbuffate senza fine? E il sesso? E i fioretti casti? Vedevi ancora la pioggia nelle giornate di sole?

Chiara

(La foto in apertura di pagina è stata scattata da me medesima nel lontano duemilaesedici, un pomeriggio d'estate di un anno molto nebbioso, quando mi fotografavo i segni del cuscino sulle braccia per ricordarmi di essere viva).

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